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Buon appetito a tutti ! di Margherita Achenza

Il primo giorno di carnevale, ossia giovedì grasso, si preparano le fave con il lardo, costine salate, pezzi di salsiccia, cipolle, finocchio selvatico e, a volte, cavoli. Questo piatto ci riporta indietro nel tempo,  le fave erano infatti considerate nell’antichità “il cibo dei morti”. Pitagora le proibiva ai discepoli, perché considerava le macchie scure dei fiori simboli della presenza delle anime dei morti e, quindi, segni infernali.

 Seneca, ci ricorda D. Turchi, non le mangiava per “tema di inghiottire insieme ad esse l’anima di qualche morto. Gli antichi romani, invece, ne facevano largo uso e le cucinavano in modi diversi; ci è pervenuta una ricetta di Apicio straordinariamente simile alla nostra favata di carnevale.In alternativa alle fave, non gradite a tutti, si preparano i fagioli secchi, cucinati con castagne, anche queste secche, e insaporiti da un soffritto di cipolle lunghe novelle.

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Altro piatto tipico del carnevale è la gelatina (li pidichini) ottenuta dai  piedi e orecchie di maiale, conservati nel sale, preparata in due varianti, dolce o salata. Nel primo caso, i piedi e le orecchie dissalati vengono fatti bollire per ore (finché non si spappolano) in abbondante acqua con qualche cipolla, poi, a fine cottura, vengono aromatizzati con buccia d’arancia o limone grattugiato,  zucchero e  uva passa;  nel  secondo  caso sono  aromatizzati con aceto.  Completata la  cottura  si  versa  il  brodo ottenuto, con piedini e orecchie ormai sfatti, nei piatti fondi e si lascia  raffreddare finché non si rapprende. Questo piatto si prepara in abbondanza e dura per tutto il carnevale. Una ricetta simile alla nostra seconda variante troviamo in un ricettario di cucina medievale e costituiva una vera e propria raffinatezza, oggi è molto meno apprezzata.  

Diversi sono i dolci tipici del carnevale. Tra questi ricordiamo li frisgioli longhi, l’acciuleddi e l’uriglietti.

Li frisgioli longhi (frittelle lunghe), morbide e dorate, oggi si offrono soprattutto a conclusione dei pasti. Un tempo, questo dolce, veniva servito anche al pomeriggio o la notte, dopo le mascherate e i balli, servite caldissime, annaffiate con ottimo moscato (e quello di Tempio è giustamente famoso).

Si preparavano friggendole nell’olio di lentischio (ociu listincu), nei fornelli predisposti sui poggioli delle case per evitare che l’odore acre,  sprigionato da quest’olio,  impregnasse l’interno delle abitazioni. Venivano offerte alle maschere che, girando per il paese, lanciavano mandarini, arance e confetti alle dame affacciate ai davanzali. L’impasto è costituito, oggi come allora, da farina, acqua, uova e lievito, aromatizzato con buccia d’arancia o limone, e a volte con acquavite. I tradizionalisti sostengono che le uova sono di recente introduzione.

La forma delle “frittelle lunghe” richiama alla mente le “budella arrosto”, cucinate dopo l’uccisione degli animali domestici. Non è azzardato vedere in questo piatto, un retaggio degli antichi riti sacrificali in cui si offrivano ai partecipanti, in primo luogo, le interiora arrostite. L’acciuleddi e l’uriglietti, in molti casi, sostituiscono le frittelle. Una volta cotte, infatti, si possono conservare per tutto il periodo carnevalesco, quindi averle sempre a disposizione per offrile all’ospite improvviso.  Dei due, la prima è sicuramente la più antica. Essa è costituita da un impasto di farina, acqua, strutto ed eventualmente uova. Lavorato a lungo, si presenta liscio ed omogeneo (pasta sviulata).

Da quest’impasto si ottengono dei cordoni, del diametro di circa ½ centimetro ciascuno che vengono avvolti su se stessi a forma di “matassine” (acciuledda significa appunto matassina, una piccola quantità di filato utilizzato nella tessitura fin dalle origini della nostra storia). La seconda, invece, è più databile. Il suo  nome proviene dallo spagnolo orilla, che significa bordo, ritaglio. Anche questa  è costituita da  pasta sviulata, tirata sottile e tagliata a forma di rombo con la rotella dentata (rutinu).

Sia l’acciuleddi che l’uriglietti vengono fritte in olio abbondante e avvolte di miele. Anche questi dolci si accompagnano con vino bianco, moscato o vermentino di Gallura.

 

 

 

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